Famiglia e Lavoro

Davanti alla crisi economica va diffondendosi sempre di più il convincimento che si debba produrre di più, e quindi: lavorare di più.
Ora, se questa ipotesi è ovviamente e giustamente auspicabile da parte di tanti (troppi) disoccupati, precari e cassaintegrati, non altrettanto si può dire per quei padri e quelle madri che già ora, e già da tempo, lavorano tanto; così tanto da veder ridotto ad un residuo frenetico il tempo da dedicare a se stessi, al coniuge, ai figli, in sostanza: alle relazioni famigliari.
A che scopo chiedere di lavorare ancora di più, a chi già si trova in questa condizione? Per poter comprare e consumare di più? Per poter definitivamente e completamente trasformare il lavoro da mezzo a fine unico della propria vita?

Si dice che il lavoro nobilita l’uomo! Ed è vero. Ma perché ciò davvero avvenga è necessario che il lavoro rispetti l’uomo; che gli permetta di realizzarsi non solo con esso e in esso, ma anche al di fuori di esso.
È necessario che il  lavoro permetta di prendersi cura del proprio corpo, della propria anima, dei propri affetti. Permetta di essere oltre che un buon lavoratore, anche un buon padre, una buona madre, un buon figlio.
La nostra società già da tempo ha progressivamente allontanato il lavoro dalla sua funzione di mezzo e i risultati non sono molto esaltanti, sia dal punto di vista esistenziale e sociale, ma paradossalmente anche sotto il profilo economico.
Si parla tanto di equa distribuzione delle ricchezze, ed è giusto, giustissimo; ma forse parallelamente è bene iniziare a parlare anche di equa distribuzione del lavoro. Magari in questo modo chi non ne ha finalmente ne potrà avere, e chi ne ha troppo potrà finalmente alleggerire un po’ il suo peso.
Magari in questo modo più persone avranno la possibilità di costruirsi una famiglia , più persone potranno mantenerla senza essere sempre con l’acqua alla gola, più persone potranno finalmente “viverla”.

Sarebbe bello che anche nella quotidianità i coniugi avessero il tempo per prendersi per mano in una passeggiata al centro o magari al mare; potessero pregare e andare a Messa. Sarebbe bello che i genitori potessero stare con i propri figli, ma non solo per accompagnarli freneticamente a scuola, all’asilo, in palestra, a catechismo, a lezione di musica e chi più ne ha più ne metta; non solo per supportarli nei compiti  in modo spesso nervoso (se non nevrotico e quindi distaccato) ma per contemplarli, conoscerli, coglierne i reali bisogni e così aiutarli a camminare e a scoprire se stessi.
Forse è un discorso utopistico, però, come si sa, in ogni utopia c’è una componente di realtà e un bisogno vero e profondo, questa realtà e questo bisogno consistono nel fatto che la famiglia deve avere un suo tempo perché ciascuno dei suoi membri possa crescere sereno e possa realizzarsi in pienezza come Dio vuole.
Il Movimento domenicano delle famiglie si porrà al servizio delle famiglie anche per far crescere la consapevolezza di questa realtà/bisogno.


Stefano Galletta e Sonia Cannas