San Tommaso d’Aquino

San Tommaso d'Aquino

Quando papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo  dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi  prodigi, né in vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase:  “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.
E  questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande  teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua “Summa teologica”, diede  sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla  dottrina cristiana.

Origini, oblato a Montecassino, studente a Napoli
Tommaso,  nacque all’incirca nel 1225 nel castello di Roccasecca (Frosinone) nel  Basso Lazio, che faceva parte del feudo dei conti d’Aquino; il padre  Landolfo, era di origine longobarda e vedovo con tre figli, aveva  sposato in seconde nozze Teodora, napoletana di origine normanna; dalla  loro unione nacquero nove figli, quattro maschi e cinque femmine, dei  quali Tommaso era l’ultimo dei maschi.
Secondo il costume  dell’epoca, il bimbo a cinque anni, fu mandato come “oblato”  nell’Abbazia di Montecassino; l’oblatura non contemplava che il ragazzo,  giunto alla maggiore età, diventasse necessariamente un monaco, ma era  semplicemente una preparazione, che rendeva i candidati idonei a tale  scelta.
Verso i 14 anni, Tommaso che si trovava molto bene  nell’abbazia, fu costretto a lasciarla, perché nel 1239 fu occupata  militarmente dall’imperatore Federico II, allora in contrasto con il  papa Gregorio IX, e che mandò via tutti i monaci, tranne otto di origine  locale, riducendone così la funzionalità; l’abate accompagnò  personalmente l’adolescente Tommaso dai genitori, raccomandando loro di  farlo studiare presso l’Università di Napoli, allora sotto la  giurisdizione dell’imperatore.
A Napoli frequentò il corso delle  Arti liberali, ed ebbe l’opportunità di conoscere alcuni scritti di  Aristotele, allora proibiti nelle Facoltà ecclesiastiche, intuendone il  grande valore.

Domenicano; incomprensioni della famiglia
Inoltre  conobbe nel vicino convento di San Domenico, i frati Predicatori e ne  restò conquistato per il loro stile di vita e per la loro profonda  predicazione; aveva quasi 20 anni, quando decise di entrare nel 1244  nell’Ordine Domenicano; i suoi superiori intuito il talento del giovane,  decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi.
Intanto i  suoi familiari, specie la madre Teodora rimasta vedova, che sperava in  lui per condurre gli affari del casato, rimasero di stucco per questa  scelta; pertanto la castellana di Roccasecca, chiese all’imperatore che  si trovava in Toscana, di dare una scorta ai figli, che erano allora al  suo servizio, affinché questi potessero bloccare Tommaso, già in viaggio  verso Parigi.
I fratelli poterono così fermarlo e riportarlo verso  casa, sostando prima nel castello paterno di Monte San Giovanni, dove  Tommaso fu chiuso in una cella; il sequestro durò complessivamente un  anno; i familiari nel contempo, cercarono in tutti i modi di farlo  desistere da quella scelta, ritenuta non consona alla dignità della  casata.
Arrivarono perfino ad introdurre una sera, una bellissima  ragazza nella cella, per tentarlo nella castità; ma Tommaso di solito  pacifico, perse la pazienza e con un tizzone ardente in mano, la fece  fuggire via. La castità del giovane domenicano era proverbiale, tanto da  meritare in seguito il titolo di “Dottore Angelico”.
Su questa  situazione i racconti della ‘Vita’, divergono, si dice che papa  Innocenzo IV, informato dai preoccupati Domenicani, chiese  all’imperatore di liberarlo e così tornò a casa; altri dicono che  Tommaso riuscì a fuggire; altri che Tommaso ricondotto a casa della  madre, la quale non riusciva ad accettare che un suo figlio facesse  parte di un Ordine ‘mendicante’, resistette a tutti i tentativi fatti  per distoglierlo, tanto che dopo un po’ anche la sorella Marotta, passò  dalla sua parte e in seguito diventò monaca e badessa nel monastero di  Santa Maria a Capua; infine anche la madre si convinse, permettendo ai  domenicani di far visita al figlio e dopo un anno di quella situazione.  lo lasciò finalmente partire.

Studente a Colonia con s. Alberto Magno
Ritornato  a Napoli, il Superiore Generale, Giovanni il Teutonico, ritenne  opportuno anche questa volta, di trasferirlo all’estero per approfondire  gli studi; dopo una sosta a Roma, Tommaso fu mandato a Colonia dove  insegnava sant’Alberto Magno (1193-1280), domenicano, filosofo e  teologo, vero iniziatore dell’aristotelismo medioevale nel mondo latino e  uomo di cultura enciclopedica.
Tommaso divenne suo discepolo per  quasi cinque anni, dal 1248 al 1252; si instaurò così una feconda  convivenza tra due geni della cultura; risale a questo periodo l’offerta  fattagli da papa Innocenzo IV di rivestire la carica di abate di  Montecassino, succedendo al defunto abate Stefano II, ma Tommaso che nei  suoi principi rifuggiva da ogni carica nella Chiesa, che potesse  coinvolgerlo in affari temporali, rifiutò decisamente, anche perché  amava oltremodo restare nell’Ordine Domenicano.
A Colonia per il suo  atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi “il  bue muto”, riferendosi anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno  venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile  questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise  di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe  affrontare e svolgere con intelligenza.
Stupito, il Maestro davanti a  tutti esclamò: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina  emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.

Sacerdote; Insegnante all’Università di Parigi; Dottore in Teologia
Nel  1252, da poco ordinato sacerdote, Tommaso d’Aquino, fu indicato dal suo  grande maestro ed estimatore s. Alberto, quale candidato alla Cattedra  di “baccalarius biblicus” all’Università di Parigi, rispondendo così ad  una richiesta del Generale dell’Ordine, Giovanni di Wildeshauen.
Tommaso  aveva appena 27 anni e si ritrovò ad insegnare a Parigi sotto il  Maestro Elia Brunet, preparandosi nel contempo al dottorato in Teologia.  
Ogni Ordine religioso aveva diritto a due cattedre, una per gli  studenti della provincia francese e l’altra per quelli di tutte le altre  province europee; Tommaso fu destinato ad essere “maestro degli  stranieri”.
Ma la situazione all’Università parigina non era  tranquilla in quel tempo; i professori parigini del clero secolare,  erano in lotta contro i colleghi degli Ordini mendicanti,  scientificamente più preparati, ma considerati degli intrusi nel mondo  universitario; e quando nel 1255-56, Tommaso divenne Dottore in Teologia  a 31 anni, gli scontri fra Domenicani e clero secolare, impedirono che  potesse salire in cattedra per insegnare; in questo periodo Tommaso  difese i diritti degli Ordini religiosi all’insegnamento, con un celebre  e polemico scritto: “Contra impugnantes”; ma furono necessari vari  interventi del papa Alessandro IV, affinché la situazione si sbloccasse  in suo favore.
Nell’ottobre 1256 poté tenere la sua prima lezione,  grazie al cancelliere di Notre-Dame, Americo da Veire, ma passò ancora  altro tempo, affinché il professore italiano fosse formalmente accettato  nel Corpo Accademico dell’Università.
Già con il commento alle  “Sentenze” di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e  l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento di Tommaso era nuovo;  professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l’argomento  con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione;  egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e  innovatore allo stesso tempo.
“Già sin d’allora, egli divideva il  suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava  tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno  per rituffarsi nel suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città  Nuova, 2002).
A Parigi, Tommaso d’Aquino, dietro invito di s.  Raimondo di Peñafort, già Generale dell’Ordine Domenicano, iniziò a  scrivere un trattato teologico, intitolato “Summa contra Gentiles”, per  dare un valido ausilio ai missionari, che si preparavano per predicare  in quei luoghi, dove vi era una forte presenza di ebrei e musulmani.

Il ritorno in Italia; collaboratore di pontefici
All’Università  di Parigi, Tommaso rimase per tre anni; nel 1259 fu richiamato in  Italia dove continuò a predicare ed insegnare, prima a Napoli nel  convento culla della sua vocazione, poi ad Anagni dov’era la curia  pontificia (1259-1261), poi ad Orvieto (1261-1265), dove il papa Urbano  IV fissò la sua residenza dal 1262 al 1264.
Il pontefice si avvalse  dell’opera dell’ormai famoso teologo, residente nella stessa città  umbra; Tommaso collaborò così alla compilazione della “Catena aurea”  (commento continuo ai quattro Vangeli) e sempre su richiesta del papa,  impegnato in trattative con la Chiesa Orientale, Tommaso approfondì la  sua conoscenza della teologia greca, procurandosi le traduzioni in  latino dei padri greci e quindi scrisse un trattato “Contra errores  Graecorum”, che per molti secoli esercitò un influsso positivo nei  rapporti ecumenici.
Sempre nel periodo trascorso ad Orvieto, Tommaso  ebbe dal papa l’incarico di scrivere la liturgia e gli inni della festa  del Corpus Domini, istituita l’8 settembre 1264, a seguito del miracolo  eucaristico, avvenuto nella vicina Bolsena nel 1263, quando il  sacerdote boemo Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla  transustanziazione, vide stillare copioso sangue, dall’ostia consacrata  che aveva fra le mani, bagnando il corporale, i lini e il pavimento.
Fra  gli inni composti da Tommaso d’Aquino, dove il grande teologo profuse  tutto il suo spirito poetico e mistico, da vero cantore dell’Eucaristia,  c’è il famoso “Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium”, di cui due  strofe inizianti con “Tantum ergo”, si cantano da allora ogni volta che  si impartisce la benedizione col SS. Sacramento.
Nel 1265 fu  trasferito a Roma, a dirigere lo “Studium generale” dell’Ordine  Domenicano, che aveva sede nel convento di Santa Sabina; nei circa due  anni trascorsi a Roma, Tommaso ebbe il compito di organizzare i corsi di  teologia per gli studenti della Provincia Romana dei Domenicani.

La “Summa theologiae”; affiancato da p. Reginaldo
A  Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un  corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro  una “Summa theologiae”, per “presentare le cose che riguardano la  religione cristiana, in un modo che sia adatto all’istruzione dei  principianti”.
La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti  i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti:  la prima tratta di Dio uno e trino e della “processione di tutte le  creature da Lui”; la seconda parla del “movimento delle creature  razionali verso Dio”; la terza presenta Gesù “che come uomo è la via  attraverso cui torniamo a Dio”. L’opera iniziata a Roma nel 1267 e  continuata per ben sette anni, fu interrotta improvvisamente il 6  dicembre 1273 a Napoli, tre mesi prima di morire.
Intanto Tommaso  d’Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una  vita di comunità, secondo il carisma di s. Domenico di Guzman e ciò gli  procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli  un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra  Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni  necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa,  ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a  costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente  confrontarsi.
Nel 1267, Tommaso dovette mettersi di nuovo in viaggio  per raggiungere a Viterbo papa Clemente IV, suo grande amico, che lo  volle collaboratore nella nuova residenza papale; il pontefice lo voleva  poi come arcivescovo di Napoli, ma egli decisamente rifiutò.

Per tre anni di nuovo a Parigi e poi ritorno a Napoli
Nel  decennio trascorso in Italia, in varie località, Tommaso compose molte  opere, fra le quali, oltre quelle già menzionate prima, anche “De  unitate intellectus”; “De Redimine principum” (trattato politico,  rimasto incompiuto); le “Quaestiones disputatae, ‘De potentia’ e ‘De  anima’” e buona parte del suo capolavoro, la già citata “Summa  teologica”, il testo che avrebbe ispirato la teologia cattolica fino ai  nostri tempi.
All’inizio del 1269 fu richiamato di nuovo a Parigi,  dove all’Università era ripreso il contrasto fra i maestri secolari e i  maestri degli Ordini mendicanti; occorreva la presenza di un teologo di  valore per sedare gli animi.
A Parigi, Tommaso, oltre che continuare  a scrivere le sue opere, ben cinque, e la continuazione della Summa,  dovette confutare con altri celebri scritti, gli avversari degli Ordini  mendicanti da un lato e dall’altro difendere il proprio aristotelismo  nei confronti dei Francescani, fedeli al neoplatonismo agostiniano, e  soprattutto confutò alcuni errori dottrinari, dall’averroismo, alle tesi  eterodosse di Sigieri di Brabante sull’origine del mondo, sull’anima  umana e sul libero arbitrio.
Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli,  facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella  capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò, un nuovo “Studium  generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di  San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all’Università.
Qui  intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta  e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo,  che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti  paragrafi.

L’interruzione radicale del suo scrivere
Tommaso  aveva goduto sempre di ottima salute e di un’eccezionale capacità di  lavoro; la sua giornata iniziava al mattino presto, si confessava a  Reginaldo, celebrava la Messa e poi la serviva al suo collaboratore; il  resto della mattinata trascorreva fra le lezioni agli studenti e  segretari e il prosieguo dei suoi studi; altrettanto faceva nelle ore  pomeridiane dopo il pranzo e la preghiera, di notte continuava a  studiare, poi prima dell’alba si recava in chiesa per pregare, avendo  l’accortezza di mettersi a letto un po’ prima della sveglia per non  farsi notare dai confratelli.
Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un  fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo  del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non  volle più scrivere né dettare altro.
Ci furono vari tentativi da  parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale  svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché  tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che  ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora desidero, è  che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto  porre termine anche alla mia vita”.
Anche il suo fisico risentì di  quanto gli era accaduto quel 6 dicembre, non solo smise di scrivere, ma  riusciva solo a pregare e a svolgere le attività fisiche più elementari.  

I doni mistici
La rivelazione interiore che l’aveva  trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi  biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era  in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell’omonima  Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si  sentì dire “Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e  lui rispose: “Nient’altro che te, Signore”.
Ed ecco che quella  mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il “bue muto di  Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della  sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un servo  inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla  sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.
Il suo  misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla  grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma  era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu  visto levitare da terra.
Le sue tante visioni hanno ispirato ai  pittori un attributo, è spesso raffigurato nei suoi ritratti, con una  luce raggiata sul petto o sulla spalla.

Sempre più ammalato; in viaggio per Lione
Con  l’intento di staccarsi dall’ambiente del suo convento napoletano, che  gli ricordava continuamente studi e libri, in compagnia di Reginaldo, si  recò a far visita ad una sorella, contessa Teodora di San Severino; ma  il soggiorno fu sconcertante, Tommaso assorto in una sua interiore  estasi, non riuscì quasi a proferire parola, tanto che la sorella  dispiaciuta, pensò che avesse perduto la testa e nei tre giorni  trascorsi al castello, fu circondato da cure affettuose.
Ritornò poi  a Napoli, restandovi per qualche settimana ammalato; durante la  malattia, due religiosi videro una grande stella entrare dalla finestra e  posarsi per un attimo sul capo dell’ammalato e poi scomparire di nuovo,  così come era venuta.
Intanto nel 1274, dalla Francia papa Gregorio  X, ignaro delle sue condizioni di salute, lo invitò a partecipare al  Concilio di Lione, indetto per promuovere l’unione fra Roma e l’Oriente;  Tommaso volle ancora una volta obbedire, pur essendo cosciente delle  difficoltà per lui di intraprendere un viaggio così lungo.
Partì in  gennaio, accompagnato da un gruppetto di frati domenicani e da  Reginaldo, che sperava sempre in una ripresa del suo maestro; a  complicare le cose, lungo il viaggio ci fu un incidente, scendendo da  Teano, Tommaso si ferì il capo urtando contro un albero rovesciato.
Giunti  presso il castello di Maenza, dove viveva la nipote Francesca, la  comitiva si fermò per qualche giorno, per permettere a Tommaso di  riprendere le forze, qui si ammalò nuovamente, perdendo anche  l’appetito; si sa che quando i frati per invogliarlo a mangiare gli  chiesero cosa desiderasse, egli rispose: “le alici”, come quelle che  aveva mangiato anni prima in Francia.

La sua fine nell’abbazia di Fossanova
Tutte  le cure furono inutili, sentendo approssimarsi la fine, Tommaso chiese  di essere portato nella vicina abbazia di Fossanova, dove i monaci  cistercensi l’accolsero con delicata ospitalità; giunto all’abbazia nel  mese di febbraio, restò ammalato per circa un mese.
Prossimo alla  fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la  confessione generale a Reginaldo, e quando l’abate Teobaldo gli portò la  Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse  alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia,  concludendo: “Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo  e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa  Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”.
Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi.

Il suo insegnamento teologico
La  sua vita fu interamente dedicata allo studio e all’insegnamento; la sua  produzione fu immensa; due vastissime “Summe”, commenti a quasi tutte  le opere aristoteliche, opere di esegesi biblica, commentari a Pietro  Lombardo, a Boezio e a Dionigi l’Areopagita , 510 “Questiones  disputatae”, 12 “Quodlibera”, oltre 40 opuscoli.
Tommaso scriveva  per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente,  il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare  zone d’ombra, concetti non ben definiti o non precisati.
Egli si  rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai  platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico.
Ciò  nonostante alcune tesi di Tommaso d’Aquino, così radicalmente  innovatrici, fecero scalpore e suscitarono le più vivaci reazioni da  parte dei teologi contemporanei; s. Alberto Magno intervenne più volte  in favore del suo antico discepolo, nonostante ciò nel 1277 si arrivò  alla condanna da parte del vescovo E. Tempier a Parigi, e a Oxford sotto  la pressione dell’arcivescovo di Canterbury, R. Kilwardby; le condanne  furono ribadite nel 1284 e nel 1286 dal successivo arcivescovo J.  Peckham.
L’Ordine Domenicano, si impegnò nella difesa del suo più  grande maestro e nel 1278 dichiarò il “Tomismo” dottrina ufficiale  dell’Ordine. Ma la condanna fu abrogata solo nel 1325, due anni dopo che  papa Giovanni XXII ad Avignone, l’aveva proclamato santo il 18 luglio  1323.

Il suo culto
Nel 1567 s. Tommaso d’Aquino fu  proclamato Dottore della Chiesa e il 4 agosto 1880, patrono delle scuole  e università cattoliche.
La sua festa liturgica, da secoli fissata  al 7 marzo, giorno del suo decesso, dopo il Concilio Vaticano II, che ha  raccomandato di spostare le feste liturgiche dei santi dal periodo  quaresimale e pasquale, è stata spostata al 28 gennaio, data della  traslazione del 1369.
Le sue reliquie sono venerate in vari luoghi, a  seguito dei trasferimenti parziali dei suoi resti, inizialmente sepolti  nella chiesa dell’abbazia di Fossanova, presso l’altare maggiore e poi  per alterne vicende e richieste autorevoli, smembrati nel tempo; sono  venerate a Fossanova, nel Duomo della vicina Priverno, nella chiesa di  Saint-Sermain a Tolosa in Francia, portate lì nel 1369 dai Domenicani,  su autorizzazione di papa Urbano V, e poi altre a San Severino, su  richiesta dalla sorella Teodora e da lì trasferite poi a Salerno; altre  reliquie si trovano nell’antico convento dei Domenicani di Napoli e nel  Duomo della città.

A chiusura di questa necessariamente incompleta scheda, si riporta il bellissimo inno eucaristico, dove san Tommaso profuse tutto il suo amore e la fede nel mistero dell’Eucaristia.

1

Pange língua gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinísque pretiósi,
Quem in mundi prétium
fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.

2

Nobis datus, nobis natus
ex intácta Vírgine,
et in mundo conversátus,
sparso verbi sémine,
sui moras incolátus
miro cláusit órdine.

3

In suprémae nocte cenae
recúmbens cum frátribus,
observáta lege plene
cibis in legálibus,
cibum turbae duodénae
se dat suis mánibus

4

Verbum caro panem verum
verbo carnem éfficit:
fitque sanguis Christi merum.
Et si sensus déficit,
ad firmándum cor sincérum
sola fides súfficit.

5

Tantum ergo Sacraméntum
venerémur cérnui:
et antícuum documéntum
novo cedat rítui:
praestet fides suppleméntum
sénsuum deféctui.

6

Genitóri, Genitóque
laus et jubilátio,
salus, hónor, virtus quoque
sit et benedíctio:
procedénti ad utróque
cómpar sit laudátio.
Amen.

AutoreAntonio Borrelli