Coppie nella storia della salvezza: Abramo e Sara

CHRISTIAN-M. STEINER


“FACCIAMO L’UOMO A NOSTRA IMMAGINE”

Le Nozze e la Famiglia nella Sacra Scrittura


Le coppie – famiglie protagoniste della storia della salvezza: Abramo e Sara

Abramo eccellente immagine di Dio

Con i patriarchi usciamo dal tempo delle origini dell’umanità ed entriamo nella “nostra” storia scoprendo comunque la continuità tra quel principio e questa storia. L’elemento più forte di continuità è sempre la coppia-famiglia meticolosamente congiunta al Principio attraverso genealogie lunghissime.
Le genealogie sono la realizzazione dell’essere a immagine di Dio che si attua nel dono della vita espressione della benedizione divina.

Proprio così inizia la storia di Abramo:

“1) Il Signore disse ad Abram: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò.
2) Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione.
3) Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».”
E’ al centro una tipica attività divina: la benedizione; che qui si concretizza in un modo affatto particolare: Abram stesso diventerà “una benedizione”, vale a dire immagine di Dio per eccellenza.

“Va verso di te”

L’ordine di partenza è un’espressione rara: si utilizza l’imperativo abituale “và”, seguito dal pronome, un po’ come “vattene” (lekh-lekha). Questa espressione, tradotta letteralmente, può significare: “va per te”, o “ va’ verso di te”.
L’unica volta in cui questo imperativo viene utilizzato ancora con il pronome è nell’ordine di partenza per il sacrificio di Isacco (22,2).”
Dio, dunque, invia Abram verso se stesso, verso la ricchezza della sua persona. Perciò deve andare a distanza dalla sua terra e dalla sua famiglia d’origine.
Famiglia d’origine e patria rischiano sempre di sostituirsi al rapporto autentico che ogni persona è chiamata a instaurare con se stesso. Troppo profondi sono i legami famigliari e culturali, troppo connaturali alla mia percezione personale. L’appartenenza alla mia famiglia, alla mia cultura, al mio paese può diventare più importante che l’appartenenza a me stesso, alla mia vocazione personale.
La famiglia è ricca di energie generative di amore e di luce che gli permettono di collaborare con “nel fare l’uomo a sua immagine”. Ma fuori dalla condizione originale, fuori dal paradiso, queste stesse energie invece di illuminare possono diventare un mondo a sé, in cui i genitori si trasformano in creatori di relazioni virtuali generando dipendenza nei propri figli.
Dal secolo scorso in poi possiamo ammirare la profondità di queste relazioni grazie alle scoperte della psicologia e in particolare della psicologia delle relazioni famigliari, che porta alla luce non solo patologie ma anche la ricchezza di tali relazioni.
Abram, per realizzare la sua vocazione, deve allontanarsi da come si è percepito fino adesso nella sua famiglia e nella sua patria, per poter realizzare insieme a sua moglie Sarai il loro essere immagine di Dio e dare così origine ad una persona nuova.

Tutta la storia di Abramo sembra attraversata dalla promessa-benedizione di un figlio che non arriva mai.

“L’attesa del figlio” potrebbe essere il sottotitolo di questo racconto. Ma il non arrivo del figlio serve a concentrare l’attenzione su chi lo dovrebbe fare arrivare, ovvero Dio e la coppia Abram-Sarai.
Il non arrivo del figlio inoltre mette davanti agli occhi del lettore la fedeltà di Dio alla sua promessa. Quanto più dura l’attesa tanto più le persone possono trovare in questa lunga attesa lo spazio per realizzarsi e conoscersi. Infine, la lunga attesa accentua al massimo la percezione della preziosità dell’atteso, ovvero, in questo caso, la persona umana, il figlio. La generazione e il concepimento di una persona nuova non ha prezzo né tempo d’attesa.
Apparentemente possono essere questi i significati del geniale racconto.
Abbiamo qui un bellissimo esempio di cornice narrativa che annuncia il programma del racconto, lo orienta e ne mantiene la tensione fino alla fine.
Il lettore è invitato a chiedersi come Abramo andrà verso se stesso E come andando verso se stesso potrà diventare benedizione di tutti i popoli; e ancora come riuscirà Dio a realizzare la sua promessa.
Con tutte queste domande realizziamo già il primo significato del testo biblico: veniamo coinvolti nella vita del testo, nella sua azione, nel suo orientamento, portiamo le sue parole in noi e perciò ci troviamo in comunione con Dio e la sua storia di salvezza.

I metodi coniugali-famigliari della coppia Abram-Sarai

Dio promette la discendenza ad Abram.
Nell’ottica di Genesi 1 la discendenza significa attuare il “facciamo l’uomo a nostra immagine”.
La discendenza è il risultato della grande collaborazione tra Dio e la coppia, per dare vita a persone umane a immagine di Dio.
Se questo grande compito dell’uomo e della donna poteva essere di facile attuazione in paradiso, ora, nella condizione della disobbedienza e dell’allontanamento da Dio, diventa più difficile. E infatti la prima cosa che fa Abram appena ha ricevuto la promessa è di dissociarsi da Sarai:
10) Venne una carestia nel paese e Abram scese in Egitto per soggiornarvi, perché la carestia gravava sul paese.
11) Ma, quando fu sul punto di entrare in Egitto, disse alla moglie Sarai: «Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente.
12) Quando gli Egiziani ti vedranno, penseranno: Costei è sua moglie, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita.
13) Dì dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per riguardo a te».
14) Appunto quando Abram arrivò in Egitto, gli Egiziani videro che la donna era molto avvenente.
15) La osservarono gli ufficiali del faraone e ne fecero le lodi al faraone; così la donna fu presa e condotta nella casa del faraone.”

Abram per paura di perdere la sua vita rinnega la moglie, manifestando una forte sfiducia nel disegno di Dio. Colpisce il ritornello che accompagna tutto il racconto di Abramo:
“1) Dopo tali fatti, questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande».
2) Rispose Abram: «Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Eliezer di Damasco».
3) Soggiunse Abram: «Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede».
4) Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede».
5) Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».”
Dio sempre di nuovo rinnova la sua promessa, la specifica, l’allarga. Neanche la frustrazione e l’impazienza di Sarai riguardo alla sua realizzazione lo fa distogliere dal suo proposito:

“1) Sarai, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar,
2) Sarai disse ad Abram: «Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli». Abram ascoltò la voce di Sarai.
3) Così, al termine di dieci anni da quando Abram abitava nel paese di Canaan, Sarai, moglie di Abram, prese Agar l’egiziana, sua schiava e la diede in moglie ad Abram, suo marito.”

Sarai fa capire ad Abram che non crede nella promessa di Dio. Nella sua memoria esiste solo: “Ecco il Signore mi ha impedito di avere prole.”
Lei non si manifesta immagine di Dio nei confronti di suo marito. Lei sarebbe infatti chiamata a dare voce a quanto Dio ha loro promesso, dovrebbe ripetere ad Abram quanto il Signore ha detto a lui.
Guardando le stelle con Abram gli avrebbe dovuto ricordare che la loro discendenza sarebbe stata “tale”!
In lei la promessa di Dio non ha messo radice, perciò si pensa senza la prospettiva “stellare” e tende a sostituirsi alla provvidenza divina “donando” a suo marito la sua schiava per offrirgli un discendente. Sullo sfondo della promessa grandiosa divina questo tentativo appare meschino e maldestro, anche se all’interno delle leggi tribali è un modo lecito per procurarsi un discendente.
“Abram ascoltò la voce di Sarai,” come fece Adamo con Eva.
La reazione di Sarai svela in quale contesto familiare e sociale avviene la rivelazione di Dio. Non ha niente di perfetto! E’ terribilmente simile alle famiglie odierne segnate dalla consapevolezza che bisogna arrangiarsi da soli (p. es. fecondazione artificiale). Le promesse di Dio poco incidono sulla percezione della vita futura della famiglia. Molti coniugi-genitori seguono ancora i metodi di Abram e Sarai.
Si preferisce dissociarsi l’uno dall’altro quando il proprio torna conto lo richiede e si prescinde da Dio sia nella generazione sia nell’educazione dei figli.
La collaborazione al divino “Facciamo l’uomo a nostra immagine” viene intesa in senso puramente intrafamigliare: “i figli siano a nostra immagine”, cioè dei genitori, o, ancora più spesso, di uno dei due genitori, e ciò non solo in rapporto alla scelta professionale ma soprattutto in relazione alla concezione di se stesso.
In questo processo i genitori si servono comunque di quelle “energie” che gli derivano dall’essere a immagine di Dio e che gli danno appunto il potere immenso di plasmare il figlio. Energie grandiose che richiedono consapevolezza famigliare alla luce della Rivelazione e delle scienze psicologiche e pedagogiche.

La realizzazione della promessa e l’Abramo “uscito verso di sé”

“1) Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro.
2) Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto».
3) Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui:
4) «Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli.
5) Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò.
6) E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re.
7 )Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te.
8) Darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne; sarò il vostro Dio».
9) Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «E` là nella tenda».
10) Il Signore riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui.
11) Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. 1
2) Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!».
13) Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia?
14) C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio».
15) Allora Sara negò: «Non ho riso!», perché aveva paura; ma quegli disse: «Sì, hai proprio riso».
Quando Abramo ha 99 anni Dio concretizza la sua promessa. Di fronte al suo solenne annuncio gli atteggiamenti dei due coniugi sono diversi: Abram prostrato davanti a Dio viene trasformato in Abramo; Sarai di nascosto se la ride delle promesse di Dio come ha fatto durante tutta la sua vita, e questa volta ne viene rimproverata. Sarai non si pente e nega l’azione appena compiuta anche di fronte all’Onnisciente. Sarai non pare proprio una donna eccezionale. Ciò nonostante rimane destinataria della promessa di Dio creando nella sua figura e nei suoi difetti lo spazio per tante moglie e mamme che ridono della Provvidenza divina anche perché non aiutate dai loro mariti in questa opera di comprensione.
La fatica di aderire alla promessa divina è enorme, ma alla fine vince Dio:
“1) Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso.
2) Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato.
3) Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.
4) Abramo circoncise suo figlio Isacco, quando questi ebbe otto giorni, come Dio gli aveva comandato.
5) Abramo aveva cento anni, quando gli nacque il figlio Isacco.
6) Allora Sara disse: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà sorriderà di me!». 7
) Poi disse: «Chi avrebbe mai detto ad Abramo: Sara deve allattare figli! Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!».
Ora il disegno di Dio si è realizzato. Il racconto potrebbe finire qui. Abramo sembra essere arrivato “verso se stesso”. Ha realizzato insieme a Sara il suo essere a immagine di Dio.
Ma il racconto non finisce qui, anzi proprio ora è pronto per arrivare al punto d’arrivo del “Lekh-lekha”. Di fatto Dio volge ad Abramo la stessa espressione iniziale che lo ha messo in moto: “Vattene … nel territorio di Moria”:

“1) Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!».
2) Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».
3) Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato.

4) Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo.
5) Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi».
6) Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme.
7)  Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?».
8)  Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutt’e due insieme;
9)  così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna.
10)  Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.
11)  Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!».
12)  L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio».

13)  Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.
14)  Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede».
15 Poi l’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta
16)  e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio,
17)  io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici.
18)  Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».”

Questa svolta sorprendente fa difficoltà a tante generazioni di credenti. Come mai Dio poteva chiedere una cosa simile ad Abramo? Guardando il testo originale più da vicino si può scoprirne il significato ) profondo.
“Tradizionalmente gli esegeti individuano due fonti scritte in questo racconto, a causa dei due nomi divini: Dio (Elohim) e il Signore (Jhwh). Ma perché si è conservato questa dualità? Possiamo osservare che il nome Dio occupa la prima parte del racconto (vv. 1.3.8.9.12) e il nome Jhwh la seconda (vv. 11.14-16). Ed è proprio al v. 11 che si trova la svolta del racconto. Nell’ipotesi di un racconto che narra “la prima volta”, si potrebbe vedere lì il passaggio decisivo dalla “divinità” (Elohim) al Signore, Jhwh, il Dio dell’Alleanza. E’ coerente con l’esperienza di Dio fatta da Abramo che incarna il passaggio dalla religione alla fede. La fede nasce quando Dio diventa qualcuno, con cui il dialogo è possibile.”
Ritroviamo nel testo il grande progresso interiore di Abramo causato da un progresso di rivelazione da parte di Dio: il passaggio dalla venerazione della divinità, che nei paesi vicini in cui si trovava Abramo implicava anche sacrifici umani, alla relazione viva con Dio che proprio in questo evento tremendo si rivela un Tu concreto e personale.
“Con questo atto apparentemente assurdo, Abramo fonda una esperienza religiosa nuova: la fede. L’atto religioso di Abramo inaugura una nuova dimensione religiosa: Dio si rivela come personale, come esistenza totalmente distinta che ordina, gratifica, chiede senza alcuna giustificazione razionale (cioè generale e prevedibile) e al quale tutto è possibile. Questa nuova dimensione religiosa rende possibile la fede nel senso ebraico-cristiano.”
“E’ interessante osservare che la tradizione ebraica, attraverso altre vie più intuitive, arriva agli stessi risultati. Certi rabbini giocano sulle lettere della parola ebraica “ariete” (ajil): la prima lettera è alef, come in Elohim, quella di centro è jod, come l’iniziale di Jhwh. Essi ne deducono che il cambiamento di nome indica il passaggio dal Dio del rigore (Elohim) al Dio della tenerezza (Jhwh), dal Dio giustiziere al Dio dell’alleanza e dell’amore.”
E’ in questo totale affidarsi a Dio che si compie il viaggio di Abramo “verso se stesso”. L’esperienza del Dio personalissimo porta Abramo alla vera profondità di se stesso. Solo se confesso che Dio è mi è vicino più di quanto non lo sia io a me stesso, e che la vita divina viene prima della mia stessa vita umana, della vita del proprio figlio, colgo le vere dimensioni della vita umana.

Abramo ci indica il “luogo” dove può avvenire questa esperienza: le relazioni familiari. La caratteristica tipica delle relazioni familiari è il loro grado di vicinanza, l’intensità dell’essere vicino. Questa vicinanza però è realizzabile solo se prima riconosco a Dio la sua vicinanza insuperabile a me stesso e alle persone amate della mia famiglia. Il rischio alto del coniuge, del genitore, del figlio è accontentarsi della vicinanza familiare dei congiunti e considerarla profondità esaustiva della mia esistenza diventandone dipendente. Ma i miei familiari mi sono immagine di quella vicinanza inaudita e personalissima che è la vicinanza di Dio, origine attuale di ogni essere e di ogni vita. Se metto i miei famigliari al posto di Dio li tradisco e li violento interiormente attribuendo a loro dei compiti che vanno oltre le loro capacità.
Se, invece, riconosco a Dio questa priorità di vicinanza, libero me stesso alla relazione reale con Dio e libero coniugi, genitori e figli dal dovere opprimente di sostituire Dio ed essere realizzatori della mia vita.
In questa luce Abramo compie una triplice liberazione: lascia libero Dio di stare al primo posto, lascia libero se stesso da relazioni familiari assolutizzanti e libera suo figlio dal dovere deformante d’essere il prolungamento del padre manifestandogli la vera profondità dell’essere uomo e il significato della famiglia.
La famiglia è prima di tutto un’opera di Dio e perciò fatta per essere esperienza originale e concreta di Dio. Crescere nel proprio essere a immagine di Dio, è possibile se riconosco questa vicinanza insuperabile e vivificante di Dio alla cui luce potrò realizzarmi e godere della vera ricchezza delle relazioni famigliari. La storia di Abramo e di Sara sembra portare a questa scoperta.

Le famiglie imperfette: luogo della rivelazione divina

Uno sguardo d’insieme sulla storia dei patriarchi da Adamo fino a Giuseppe fa emergere le relazioni famigliari come il luogo nel quale Dio si manifesta, promuove la sua rivelazione e attua la sua alleanza.

Non si tratta di eroi. Molto spesso Dio iscrive il suo agire in famiglie segnate dal peccato, dall’infedeltà e da insuccessi. Sin dall’inizio della storia della salvezza il male nelle famiglie non è un impedimento alla rivelazione di Dio e all’attuazione del suo progetto di realizzare la sua immagine nell’umanità.
Ogni infedeltà e incoerenza coniugale (Adamo – Eva, Abramo-Sara), filiale (Giacobbe-Isacco) o fraterna (Caino-Abele, Giacobbe-Esau, i fratelli di Giuseppe) diventa occasione di una maggiore manifestazione dell’agire divino. Si intravvede già il dinamismo pasquale della “felice colpa”, da sempre presente nell’agire divino nei confronto di ogni uomo, di ogni coppia, di ogni famiglia.
In ogni tradimento o fallimento famigliare Dio è già all’opera per creare un bene più grande dal nulla del nostro male.

Per la riflessione:

  • Come ho corrisposto alla chiamata universale di ogni essere umano d’uscire da se stesso verso il valore universale della propria persona?

  • In che modo la nostra vita famigliare è un’esperienza di Dio? Come faccio esperienza di Dio nella mia famiglia?

  • Quanto e sotto quale punto di vista percepisco vicini i nostri fratelli ebrei e musulmani?